la sacra sindrome

di claudia bruno

una mattina ti svegli e non sei più tu. non sei più quella della sera prima, per dire. una vela gonfia di speranze, la gioia di vivere. la gioia di che? no. disegni una bella croce sopra quella faccetta allegra, l’espressione di chi pensa che tutto è possibile. mhhhhh, fastidiosa! ma che ti ridi, pensi. non c’è niente da ridere. la vita è una merda. punto. tutto quello che hai fatto finora incarna il significato del termine inutile. do you know i n u t i l e? uno scarabocchio, un casino, immondizia. ti chiedi come hai fatto a vivere fino ad oggi. ti sembra un’idea malsana, un attentato al buon senso, un affronto all’intelligenza. guardi la tua intera esistenza proiettata sul soffitto disfarsi in un puzzle, quelli di cinquemila pezzi composti con meticolosa pazienza notte dopo notte sotto la luce fioca della perseveranza, ecco ti sembra un puzzle di quelli dopo che un esercito di gatti ci è passato sopra azzuffandosi per l’unica femmina del circondario. pensi che potresti anche non alzarti, lasciarti morire a letto di sete e di fame, che tanto nessuno se ne accorgerebbe, tra qualche giorno la tua gatta si nutrirà di te, e vissero tutti felici e contenti. poi dici vabè, mi faccio l’ultimo caffè, un caffè ci sta comunque, anche quando ti rode, anche prima di farla finita, ti dà quel senso di compiutezza. meglio morire compiuta. quasi accenni un principio di sorriso interiore all’idea di questo residuo di decoro, allora c’è ancora un granello di irriducibile amor proprio, pensi sollevata. ma è quando tocchi terra con gli alluci che si sbriciola l’ultima certezza, perché inizia la nausea, una nausea che manco stessi pranzando sul tagadà, manco fossi al terzo mese e aspettassi due gemelli. peggio. peggio perché non giustificherà la nascita di niente e di nessuno. sarà l’ennesima nausea sprecata, quel giorno la pensi così. ti senti una fabbrica di uova che sta per fallire, una fabbrica di galline depresse assunte co.co.co. a cui poi è stato chiesto di aprirsi una partita iva, che risentite sbattono le ali nel tuo stomaco provocandoti quella insopportabile sensazione di nausea rivendicativa, appunto. ma è solo l’inizio. dopo mezz’ora la sola visione del cielo ti fa salire un magone che se inizi a piangere, dio fa che non inizi a piangere, potresti allagare il quartiere. se poi fuori c’è il sole, è chiaro che inizi a piangere. se poi fuori piove, parte la sfida, tu pioverai più forte. e piangi, piangi è un eufemismo. tu allaghi, tu alluvii, tu straripi. manco ti avessero rubato la macchina in autostrada e fossi rimasta a piedi in autogrill senza più parenti o amici viventi. manco t’avessero detto che sono tutti morti e sei l’ultima superstite del genere umano. e improvvisamente è chiaro, è tutta colpa tua. la fame nel mondo, le guerre, gli incidenti, la cattiveria, la crisi economica, la sofferenza, il debito pubblico, la miseria, la disoccupazione, i cambiamenti climatici, l’inquinamento. ti senti una neet, una choosy, una millennial, una bambocciona selfie, è terribile, terribile che sia capitato proprio a te. e quelli che sono scomparsi, animali e umani, sembrano scomparsi da qualche ora. e quelli che sono ancora vivi, già ti mancano come se non potessi più toccarli. e di sottofondo senti la voce di Gary Jules che canta Mad World, una p r e s a m m a l e assurda, e ti sembra di vedere il coniglio di Donnie Darko che ti chiede cosa vuoi per cena. allora vorresti esprimere gratitudine a tutte quelle persone che ti hanno donato senza pretendere niente in cambio, da una semplice giacca usata tirata via da un armadio a una sorpresa che non ti aspettavi, alla fiducia nella tua intelligenza, all’ascolto di un delirio, al tempo, fino al sentimento quotidiano e incondizionato. è incredibile capire come ciò sia potuto accadere, a te, che ora non sei che un ammasso di muco denso a salire e scenderti nel naso e nella gola, alla maniera di una caramella balsamica ma con un effetto un po’ diverso, qui rischi il soffocamento. cerchi fazzoletti come un’eroinomane la dose, ma il fatto è che non ci vedi, ti sembra di trovarti nell’abitacolo di un’automobile senza tergicristalli durante un diluvio. e inciampi, e dappertutto inciampi, negli spigoli delle porte, nelle gambe delle sedie, nel tuo gatto, fai cadere tutto, cadi tu. intruppi, sei un intruppo continuo (ormai ragioni in gergo). prendi MEEEEEEEEEH! urli disperata rivolta a un’ipotetica forza superiore. Prendi MEEEEEEEEEH! ti batti il petto ormai seduta sul pavimento. hai toccato il fondo, in tutti i sensi – certo, potresti sempre scendere in garage, ma non ti pare il caso.
è in quel momento che ti ricordi che è la tua quarta settimana di ciclo. la fase estrogenica sembra solo un lontano e fugace ricordo di come avresti potuto essere (Heidi, le caprette ti fanno ciaone!). di fatto il corpo luteo si è già formato e ti sta bombardando di progesterone. puoi sentire perfettamente degli SBOAAAAAHM, SBOAAAAAHM nel cervello (è il bombardamento, ascolta attentamente, coinvolge il sistema nervoso centrale mentre l’ipotalamo e l’ipofisi se la battono a mani nude). allora capisci, ci sei ricascata, sei un’altra volta al centro di una catastrofe epocale che non hai potuto o saputo evitare. sei fottuta, senza giri di parole. vedi i mostri, i mostri proprio. altro che pace e amore, la luna e altre cagate. tu vedi i mostri. gli zombie. can you spell z o m b i e?  zzzz – ooooo – mmmmm – bbbbb – i – eeeeeeeeh.

la sindrome premestruale può avere effetti collaterali anche gravi, leggere attentamente il foglietto illustrativo, tenere fuori dalla portata dei coinquilini, in caso di zombie staccargli la testa.

163cb17533b3730da1c93132eeb48812

Illustrazione: Joey Chou

questa spremuta è tratta da: ingredienti: