le vite degli altri
una volta ho fatto un corso. la nostra generazione passerà alla storia come la generazione che si faceva i corsi invece di calarsi gli acidi. comunque. senza voler divagare già da subito, a questo corso eravamo suddivisi in gruppi. eravamo lì, impegnati a realizzare un documentario – le interviste, le immagini di copertura, il minutaggio, insomma un documentario, con tutti i cazzi e mazzi. severo ma giusto. a parte il fatto che a un certo punto mancavano due giorni e noi il documentario non ce l’avevamo. nel gruppo tutti continuavano a discutere rilassatamente, come se invece di due giorni si fosse trattato ancora di mesi, toh, di settimane. erano lì tranquilli, con tanto di pause sigarette intervallate da aneddoti personali e flashback dell’infanzia. allora praticamente succede questa cosa. succede che io alzo lo sguardo e sulla parete della stanza in cui eravamo, alle loro spalle, inizio a vedere delle figure strane. tipo dei mostri che fanno no con la testa. no, dicono – sinistra destra, semplice da capire: dicono no. al ché, mi sembra che anche la mia testa di riflesso fa no, destra sinistra – al contrario perché volevamo andare coordinati. insomma per farla breve comincio a sentire nelle orecchie questo mucchietto di parole sparpagliate, del tipo mai, del tipo non, del tipo faremo-ce-la. così, mentre gli altri erano lì a metà strada tra la fine della sigaretta e il primo giorno d’asilo io li guardo – sempre facendo no con la testa, destra sinistra – e vomito al centro della stanza questa frase che all’improvviso mi si era formata nella gola, dico: non ce la faremo mai. mi esce una voce strana, un ibrido tra un ruggito e un rutto. e infatti vedo che gli altri tutti si interrompono e mi guardano male, della serie tre secondi di silenzio per questa che è matta. allora il direttore del corso si gira tipo il prete se qualcuno bestemmia all’oratorio e inizia a muoversi verso di me, sempre più vicino, sempre più vicino tanto che a un certo punto penso di essere diventata piccolissima che deve venire così vicino per vedermi. e insomma con la bocca stratosferica mi fa: ma cosa DIAMINE stai dicendo? dice diamine, che nel mio vocabolario è già molto grave perché lo diceva mio padre quando nei viaggi in macchina avevamo sbagliato strada, poi lo dice in maiuscolo, quindi. non esiste è impossibile, dice, esiste solo ce la faremo. infatti io non ho detto è impossibile, gli cerco di spiegare con calma, io ho detto non ce la faremo mai, che è possibilissimo – quasi sicuro, a voler essere precisa; ma questo me lo tengo per me, capisco che non è il momento. noi ce la faremo, continua lui, noi ce la stiamo già facendo, noi – mi fa a un certo punto abbassando la voce in modo che gli altri non possano sentire - ce l’abbiamo già fatta, te la butto là. e mentre tutti dicevano sì-sì con le teste che a me venivano i brividi dietro la schiena, i mostri sul muro hanno cominciato a mettersi le mani in faccia per dire è finita, è finita. ma gli altri comunque continuavano a fare sì con la testa del tipo staiserena, allora ho pensato che il muro alle mie spalle doveva essere tutto bianco, un semplice muro bianco appena ritinteggiato. e lì ho capito che a volte le vite degli altri sono molto meglio.
Illustrazione: Rina Donnersmarck
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