le stelle lustre e belle

di claudia bruno

si era svegliata alle tre. e non c’era bisogno di accendere il lume per capire dove infilare i piedi. conosceva a memoria gli incastri, con le dita ripassava gli spigoli, prima ancora di sbatterci il naso con la punta dell’indice incontrava gli infissi. se non torna entro un quarto d’ora meglio lasciare il letto, diceva il dottore alla televisione. e infatti lei il sonno lo aspettava per quindici minuti, non di meno. osservava cambiare i numeri a scatti sul quadrante verde. poi basta. solo alzarsi, superare il labirinto, arrivare in cucina. anche quella notte si era andata a sedere lì. guardava la piccola capanna comparire e scomparire sopra il frigo. il velo di Maria, il buio, l’asino, il buio, la culla vuota, il buio, Giuseppe, il buio, il bue, il ronzio del frigo, l’odore del brodo, le mani sulle ginocchia, i piedi gonfi, le vene varicose, il respiro affannato, i denti in meno. un corpo può contenere una vita intera? si chiedeva. perché le sembrava che il suo contenesse tanto, troppo. allora, con un filo di voce, iniziò a cantare. e cantò che quanno nascette Ninno, le stelle lustre e belle se vedèttero accossí. e le sembrò che la sua voce fosse sopravvissuta agli anni. e proprio mentre si accarezzava il viso per controllare che i disegni del tempo fossero ancora tutti lì, sentì qualcosa che non le tornava. come un tuono piccolo, una scossa, lungo il pavimento. come se oltre a lei, lì dentro, ci fosse qualcun altro. allora smise di cantare e fece un lieve balzo indietro. storse la bocca, si alzò e pigiò l’interruttore.

la casa era un deserto squadrato, sembrava non essere mai stata tanto vuota.

vecchia

Illustrazione: Georgina Luck

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