spremute.
inverno
quando l’aereo decolla posso finalmente ricordarmi come uscire scalza dalla mia pelle e svestirmi di quella che so di essere. mi sento vicina mentre mi guardo in lontananza diventare piccolissima, in un legame che si rinsalda negli allentamenti tra me e me. eccomi lì, sono qui, la stessa, un’altra, seduta dentro la pancia dell’inverno, nel ventre della balena, una piccola candela accesa nell’ombra umida e fredda. faccio pace con la stagione ostile, ostile di sicuro per una casa vuota nel cantiere desolato di giorno, occasione per dare tregua pure all’inverno mio, una bestiola scontrosa e beffarda che sgocciola buio e gelo in tutte le stagioni. “sorridi sempre ma hai l’anima scura” mi disse un giorno un po’ turbato un ragazzo in un ufficio in affitto illuminato al neon. anche adesso non m’accordo. non vedo l’ora di uscire fuori, riemergere altrove, respirare corpi caldi e battaglie illuminate. ma io passo e il tempo parla, è ora che abito questo silenzio non impegnato ma impegnativo, respiro e tocco questo spazio così vero e vivo che ho cercato a lungo, continuamente emarginato dall’esistenza mi muove e mi commuove. materia nella sagoma di un calco, m’infilo e trovo posto in questo niente senza veli e fuori moda, che sta sotto a tutto e regge tutto, ai bordi, alla fine e all’inizio di ogni cosa. allora capita, sì capita, che nella campagna industriale e malinconica trovo quello che ho trovato in cima alla montagna, lungo la pipì notturna e solitaria sull’erba della valle selvatica, dentro il corpo sott’acqua che incrocia sguardi coperti di squame d’argento. in questo paesaggio dell’anima tutto tace. nessuno passerà di qui e se accadrà sarà per sorpresa. in questo tempo che non ha fretta di aspettare, il balsamo si posa lento sul fondo, la neve attraversa la sfera di vetro, il telo si stende sul suolo appena prima del gioco. tutto può essere, oppure niente. non esiste rassicurazione e non c’è di che avere paura.
[l’inverno sta arrivando, e io lo aspetto come si aspetta un amante.]
