in un aereo

di claudia bruno

domanda.

è peggio viaggiare in un aereo pieno di romani – noi dobbiamo stare tutti vicini perché abbiamo pagato, non ci imbarcate proprio nessun bagaglio perché abbiamo pagato, nonna preferisce i posti pari, mo stai a fa er fiscale che amo pagato un posto dispari, er dispari porta sfiga. che c’è da mangiá, a che ora arrivamo, spogliate che fa caldo, chiudi l’aria che fa freddo, ma ste finestre non se aprono, ma se po’ fumà, papà si vede un lago, quello è il lago di Bracciano, no è il lago di Bolsena, ma che stai a dì è il lago de Garda, guarda su internet, internet qua non pia, eccheccazzo non funziona un cazzo su sto cazzo de coso, te credo c’hai la Tre, cazzo;

oppure accanto a una coppia di neofidanzati neomelodici sbaciucchioni di Caserta, maglioncino di filo e occhiali – uà no, alla mia ex non glie lo diciamo ancora che stiamo insieme bacino perché era una stalker bacino uà potremmo avere dei fastidi bacino bacino uà;

o forse accanto a una coppia consolidatasi sul metal – stessa lunghezza di capelli, con barba lui, senza lei, entrambi braccialetto viola di passato rave gotico a Velletri, inclini al chiacchiericcio di stampo critico musicale, particolarmente dediti alla ripetizione della parola “riff” accompagnata rispettivamente dal gesto di suonare la chitarra lei, la batteria lui;

o magari accanto a madre taglie forti e figlia piccola ma cacacazzi entrambe irrequiete – scusa devo andare al bagno, scusa prendo l’album dei disegni, scusa ho dimenticato il maglione, scusa abbiamo un altro bellissimo gioco magico che abbassa il volume dei bambini ma è sempre in valigia ambarabàcciccícoccò tre galline sul comò mamma cantiamo mamma balliamo mamma coloriamo combattiamo costruiamo un palazzo gridiamo;

oppure, con le due bionde sex and the city senza scarpe e su di giri per il prosecco e per il posto vip, ridarella e disco rotto modello apericena – really? yeeeahh! ahahah! really? yeahhh! ahahah! ad libitum;

o, perché no, essere incline alle palpitazioni e viaggiare all’ultimo posto mentre impazza la tempesta e ricordarsi perché negli anni novanta odiavi il tagadá;

o soffrire di stati d’ansia a zero salivazione e scoprire durante il decollo di aver finito l’acqua;

o farselo al primo posto, sto viaggio – adesso vi frego io – con le ginocchia piegate e le hostess che ti passano i carrelli sui piedi ogni due e tre – sorry, sorry, sorry – ettré, mo me li taglio sti piedi e famo prima (ma non era il posto vip?);

o ancora non partire proprio, rimanere in aeroporto per cinque ore, di sera, senza finestre senza corrente senza batteria senza libri di carta per la prima volta nella vita e per cause di forza maggiore ritrovarsi a ripetere a occhi chiusi: io non esisto io non esisto io non esisto io sono solo la senza pretese poltroncina blu di un aeroporto mannaggiammé e a chi m’ha inventato?

risposta.

l’amore a distanza è un bagaglio a mano tra le parole gate e controllo passaporti. (anonimo)

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Illustrazione: Mariana Ruiz Johnson

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