l’amore dopo il covid
cerco, per il dopo-covid, un uomo con cui condividere la mia predilezione per le superfici sgombre, l’attrazione mistica che nutro per gli spazi vuoti, le lenzuola ben piegate, le vasche da bagno immacolate. un uomo in una casa di piante e finestre, dove svegliarmi la mattina con i capelli che odorano di fiori e non di strutto fritto. un uomo, non impegnato segretamente in una competizione culinaria con sua madre – o che, nel caso in cui dovessimo riscontrare il problema, quantomeno accetti di farsi aiutare da uno specialista. uno che non creda sempre di avere ragione, che riesca a dirmi “sei intelligente” oltre il sesto mese che scopiamo invece di ridursi a un “tu sei matta” ogni volta che la pensiamo diversamente. sogno, per il mondo a venire, un uomo discreto, selettivo, che usi il filtro del lavello invece di buttarci tutto dentro. uno che come me non ingoi qualsiasi cosa, ma ne poggi sulla lingua solo alcune. uno che scelga in base alle consistenze, che per definirsi lasci entrare un sapore alla volta. che possa accompagnarmi in quel processo di sottrazione che mi sembra essere l’esistenza, uno con cui avanzare verso l’essenza delle cose, che non mi tiri continuamente via dalla concentrazione, che non me ne allontani a sorpresa per farmi un dispetto. un uomo centripeto, più che centrifugo. uno che non accumuli, che non riempia le stanze di collezioni e nuvole di fumo artificiale al profumo di kiwi o di mango, di zucchero filato. che sappia contemplare il nulla, che metta in conto il sacro. uno che usi la saponetta neutra, che stia alla larga da lozioni e lozioncine, che non abbia troppo bisogno dello specchio. uno che sia capace di guardarsi da dentro. cerco, fondamentalmente, un uomo sobrio, poco ingombrante, introspettivo, che non schernisca la mia vita monacale. che quando manca, manchi meno. uno con cui potermi preparare un toast per sopravvivere, sgranocchiare un pugno di mandorle, una carota mentre fissiamo pareti bianche, senza sentirmi una miserabile. Uno con cui poter parlare di notte, che non crolli sul divano alle dieci di sera, che quando piango non vada nel panico. uno che sappia come massaggiarmi le spalle quando passo troppo tempo seduta. che quando balliamo conduca lui, che sappia visualizzare i movimenti prima di eseguirli, che non mi costringa a indirizzarlo con tutta la fatica che comporta rendere invisibile questa manovra su un corpo di ottanta chili. di sicuro uno che non cammina scalzo sulle briciole, che non si dimentica le luci accese, che non incastra le pietanze nel frigo una sull’altra per farcene entrare di più. uno che, prima di tutto, mi aiuti a consumare i resti. vengo da una famiglia analitica, ordinata, parsimoniosa. consegnarmi al principe degli zingari dev’essermi sembrata un’esperienza esotica, lo comprendo. ma adesso tutto mi sembra così diverso, ultraterreno. sarà la pandemia, sarà che sto invecchiando. Sogno, per il mondo nuovo, un erotismo intellettuale, concettuale. fatto di pause anche lunghe nei discorsi, di una scelta graduale delle giuste parole. Un quotidiano “anche meno“. di aria fresca, vegetale, senza mescolanze di grassi animali. mentre passo lo straccio sugli scaffali incrostati della cucina mi chiedo se sulla superficie terrestre esisterà almeno un uomo così, come faremo a incontrarci, se non mi sto facendo delle illusioni. non è che sto cercando un’altra versione di me? mi dico. forse sto cercando mio padre. forse dovrei tornare in analisi, sì dovrei. poi mi ricordo che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. e mentre strofino continuo a sognare.
Illustrazione: Lorraine Sorlet
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